Storie di medaglie olimpiche – L’argento dei fiorettisti, il significato vero d’essere Squadra!

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La squadra dei fiorettisti medaglia d'argento

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Storie di medaglie olimpiche – L’argento dei fiorettisti, il significato vero d’essere Squadra!

Ultimo tango a Parigi. La scherma chiude con il fioretto maschile. L’Italia vuol mettere la quinta: sarebbe la medaglia “dell’obiettivo”: far meglio di tre anni fa a Tokyo, dove furono cinque ma stavolta a splendere c’è quell’oro a casa loro vinto dalle spadiste azzurre sulla Francia, e meglio pure di Rio nel 2016 quando ne arrivarono quattro. Ce la giochiamo. Abbiamo quattro campioni, ognuno con la sua storia. Che diventano una soltanto: la storia d’una squadra. Ed è storia ricca, complessa, per nulla banale.

È una storia che comincia in una mattinata d’aprile scorso nel ritiro dell’Acqua Acetosa. Fuori fa un caldo-bestia, e però dentro c’è il gelo. Dani, il capitano, ha appena detto ai suoi compagni quel che avrebbe poi rivelato in pubblico qualche settimana dopo: “Il mio cuore s’è infortunato”. I medici hanno fermato il dottore. La Nazionale azzurra di fioretto è di ghiaccio. Persino Stefano, il CT che sa sempre come alleviare un’ansia dei suoi ragazzi, quel giorno non sorride affatto. Resterà sempre idealmente in squadra, Daniele, e però intanto c’è da (ri)organizzare un quartetto che vada a prendere medaglia al Grand Palais.

Detto-fatto. Avanti con tre esordienti ai Giochi – Tommy, Pippo e Guillaume – e un veterano – Alessio – per fare qualcosa di grande. Stringendosi forte, compattandosi ancor più di prima, provando, riprovando, sudando, soffrendo, strofinandosi sulle incertezze e prendendo di petto ogni paura.

S’arriva così alla prima domenica d’agosto a Parigi. Mancano dieci minuti a mezzogiorno quando il destino consegna le penne, e chi ne ha, adesso sì, sa che può scrivere il proprio nome in mezzo a quei Cinque Cerchi, dove restano scolpiti per sempre. Si parte da Italia-Polonia. Un mese fa nella sfida per il bronzo dell’Europeo li abbiamo battuti “tanto a poco”, ma qui è un quarto di finale olimpico, e i polacchi l’approcciano come chi vuol fare l’impresa. Inizio in salita. Siamo sotto. Il 17 ci porta bene, è il numero del nostro primo vantaggio, e però c’è da battagliare ancora. Lo facciamo, la portiamo a casa, con qualche sospiro, sìssignore, ma con il sangue già caldo. Servirà rovente, in semifinale, ché ci aspettano gli Stati Uniti.

Sono le due e cinquanta del pomeriggio, e la semifinale è pure un po’ una resa dei conti di tutto quel che in questi giorni s’è detto: il “sogno americano” della scherma, il modello dei college, il vento che cambia. Tutto vero, ma se l’Italia fa l’Italia…

Loro hanno Massialas, Itkin e Meinhardt, entrerà pure Chamley Watson, per il quale è arrivato a tifare in tribuna l’amico Hamilton, e però in pedana gli azzurri corrono di più e ai box manco si fermano. Mai! Prendono il comando alla seconda frazione, e non lo lasceranno più. Lottando, mettendoci tecnica, testa e cuore. Stefano dà la carica, Alessio è in panchina eppure le sedie del Grand Palais non sa neppure quanto comode siano, è sempre in piedi, a spingere i compagni, perché a squadre si tira uno per volta ma in pedana è come se ogni stoccata la portassero in quattro. Gli statunitensi ringhiano a propria volta, provano a restar aggrappati, ci riescono fino all’alba dell’ultimo giro d’assalti, lì Pippo metto un altro punto esclamativo su un’Olimpiade strepitosa, Guillaume è d’una costanza e un’incisività impressionante, Tommy, che s’è preso sulle spalle la responsabilità della chiusura, fa quel che è – il campione, del Mondo e d’Europa – e così gli azzurri suonano il clacson e scappano via, dritti verso la finale.

Alle otto e mezzo della sera, mentre allo Stade de France l’atletica attende d’incoronare l’uomo più veloce del mondo all’Olimpiade, l’ultima finale del programma di scherma è Italia-Giappone. Loro sono campioni del Mondo e team numero 1 del Ranking, tirarci contro è peggio che andare dal dentista, ma ai nostri non manca il coraggio. Li teniamo punto a punto. È un’altalena. Andiamo un po’ su, ci riprendono, provano a scappare, li freniamo. La storia nella storia si consuma poco prima dei titoli di coda. Siamo a -1, Pippo ha dato tutto, entra Alessio. È il capitano-tiratore, ora che Daniele tifa in tribuna. Ale ha vinto Mondiali ed Europei, sia individuali che a squadre, gli manca solo la medaglia olimpica. La vorrebbe d’oro, insieme ai suoi compagni, ma la svolta non riesce. I giapponesi ne hanno di più e quest’assalto che vale titolo e medagliere se lo prendono loro.

Gli azzurri s’abbracciano. Filippo, Tommaso e Guillaume, che in Alessio hanno sempre visto e avuto una chioccia, una certezza, un amico prima che l’atleta d’esperienza, si stringono forte a lui. Perché il valore di quell’argento che brilla non è in una stoccata che manca, in una frazione, in un assalto, né in una gara, è in un percorso intero fatto con compagni e staff, lungo tre anni, intenso, faticoso, e in questi ultimi quattro mesi di più. È una medaglia speciale, perché dà il senso vero d’una squadra in cui nessuno vince o perde da solo. E pazienza se il secondo oro di questa spedizione da cinque podi e mille emozioni non vuol venire. Il lieto fine assicurato ce l’hanno solo le favole dei bambini. Questa, invece, è l’Olimpiade dei grandi. E voi grandi lo siete davvero. Grazie, ragazzi!

(foto Bizzi)

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