Il destino non gioca a dadi, si dice, però forse tira di scherma. Vedere per credere le ragazze-coraggio del fioretto azzurro Under 20: un mese fa, a Novi Sad, si sfilarono da un Europeo atteso da anni, la prima Nazionale dello sport italiano (insieme a quella delle spadiste) a dire “no” al match contro la Russia in segno di solidarietà verso il popolo ucraino da poco stravolto dal dramma d’una guerra. Piansero, certo, ma sapevano ch’erano “lacrime giuste”, superando con una maturità commovente la tristezza di giovani atlete che scoprono – e soprattutto dimostrano – d’esser (già) grandi in un tempo piccolo.
Però lo sport sa restituire quel che toglie, o almeno (ri)dà la possibilità a chi ci crede di saldare i conti con il destino. E così, 37 giorni dopo quel 1° marzo che nessuno dimentica, le fiorettiste azzurrine al Mondiale di Dubai si sono riprese tutto: l’entusiasmo di gareggiare, l’emozione di calcare le pedane più importanti, l’adrenalina di vivere da squadra un’esperienza che s’iscrive di diritto nell’album dei “migliori anni”, infine la gioia di mettersi al collo una medaglia d’argento che luccica e ch’è figlia d’una prestazione fantastica. Giulia Amore, Carlotta Ferrari, Benedetta Pantanetti e Irene Bertini son state una cosa soltanto, GiulyTottaBennyeIre da pronunciare come un’unica parola, “le ragazze della Francy”, la maestra Bortolozzi che le abbracciò forte in Serbia, mentre davano le spalle al loro sogno, e che oggi le ha accompagnate su quel podio, guidandole in panchina al fianco del CT Stefano Cerioni.
Hanno divertito e si sono divertite, queste fiorettiste che mischiano eleganza e grinta, simpatia e carattere, dolcezza e voracità quando in pedana devono prendersi quello per cui hanno lavorato senza mai risparmiarsi. Così le lacrime di Novi Sad (dove al posto di Benedetta Pantanetti c’era Matilde Molinari, bronzo ieri tra le Cadette) sono diventate gocce di memoria in un oceano di felicità, liberata nella corsa di Totta, Benny e Ire verso Giuly, al momento dell’ultima stoccata in semifinale, l’ipoteca su una medaglia ch’è d’argento ma che vale oro non soltanto per consumato “modo di dire”, nonostante il titolo mondiale se lo siano presi gli Stati Uniti. Ci vale davvero, perché prima che alla bravura, alla qualità e alla preparazione d’ognuna di loro, è un premio al coraggio di ragazze che hanno saputo (ri)scrivere il proprio destino. D’inchiostro azzurro. In punta di fioretto.
(foto Augusto Bizzi)
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