In occasione dei Campionati Europei di Copenhagen, Marco Ramacci (nella foto) ha smesso i panni di fiorettista per calarsi in quelli per lui insoliti di inviato speciale. E per la newsletter della Federscherma l’atleta di Frascati e delle Fiamme Oro ha scritto questo resoconto della sua visita nel quartiere più alternativo e più curioso della capitale danese, Christiania.
Copenhagen – Christiania è un posto fuori dal mondo. Un’autentica comunità hippie che si trova a dieci minuti dal centro di Copenhagen. Passeggi per il quartiere di Christianshavn, svolti un angolo e alla tua sinistra comincia una sorta di muro perimetrale con tanto di porte di accesso. Varchi la soglia e ti trovi proiettato nel mondo di Lewis Carroll (quello di Alice nel Paese delle Meraviglie). Alla ordinata e pulita realtà del centro fa da contraltare un caleidoscopio di suoni e di colori.
Si tratta di un parco piuttosto grande, con tanto di strade, giardini e fabbricati nei quali vive – a occhio – non meno di un migliaio di persone. La visione per il turista che vi entra per la prima volta è surreale: un’umanità multietnica e multicolore rapisce l’occhio.
Ci si può trovare a passeggiare e, volendo, a conversare con alcuni dei personaggi più improbabili che mente umana possa concepire. Il sottoscritto ha osservato, nell’ordine, una partita a racchettoni tra un pelato con il capo interamente tatuato e un biondo nordico che sembrava ricalcare il classico stereotipo del “tutto muscoli e niente cervello” e un tizio passare in sella a una sorta di velocipede che pareva uscito di botto dall’800. Oltre a tutta una serie di personaggi vestiti del vintage più improbabile e fantasioso.
Certo, Christiania è rinomata principalmente per un motivo: vi possono trovare con facilità sostanze altrove vietate. Ma sarebbe riduttivo considerarla solo da questo punto di vista. È invece bello guardarla con occhio curioso, se si vuole anche disincantato, e osservare per un paio di ore una realtà completamente altra (e sicuramente più rilassata) rispetto a quella cui siamo abituati.