Storie di medaglie paralimpiche – Bebe e Matteo: la magia di una sera a Parigi nell’«Ombelico del mondo»

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Betti e Vio medagliati nel fioretto

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Storie di medaglie paralimpiche – Bebe e Matteo: la magia di una sera a Parigi nell’«Ombelico del mondo»

Una sera, due medaglie e molte più storie che s’intrecciano in quei sorrisi sul podio. Bebe e “Matte”, il bronzo e l’argento del fioretto nel mercoledì di Parigi, ne raccontano tante. Vere, semplici, eppure magiche.

Il bronzo di Bebe, l’oro dello sport paralimpico

Quest’è l’ombelico del mondo. E con Jova in tribuna non potrebbe essere altrove, se non al Grand Palais. “Lorenzino”, come lo chiama Bebe, è venuto fin qui a tifare per lei ai Giochi Paralimpici. A Tokyo non fu possibile, e così Parigi diventa meta d’una promessa mantenuta. Ché loro si conoscono e si vogliono bene da un pezzo, “da molto prima che arrivassero tutte queste interviste – racconta la plurimedagliata azzurra con attorno più smartphone d’un negozio di telefonia, che ne registrano le dichiarazioni a fine gara – e cioè da quand’ero una bambina e tra le nostre famiglie nasceva una splendida amicizia che dura ancora adesso”. Lui, Jovanotti, “c’è sempre stato”, ricorda Bebe, orgogliosa, felice e un po’ commossa per un bronzo che – sìssignore, chiaro – forse “non è l’oro che tutti volevano”, e però che vale tanto-quanto, magari persino di più, a ripensare al sudore, al lavoro, al vissuto che c’è dietro. Bebe e la sua famiglia. Bebe e la sua squadra della Nazionale azzurra ch’è un’altra famiglia, in cui lei è cresciuta diventando la campionessa che al Grand Palais inseguono tutti.
La Parigi di Bebe oggi è di bronzo, e però a brillare d’oro è tutto lo sport paralimpico di cui lei è il simbolo più lucente. Special guest della cerimonia delle Olimpiadi, tedofora all’apertura delle Paralimpiadi, e nel mezzo la sognatrice di sempre impegnata ad allenarsi ritiro dopo ritiro, a caccia d’una impresa, l’ennesima, con il sacro fuoco che le bruciava dentro. Fa nulla se per una volta non sentirà suonare l’Inno di Mameli.
Non siamo supereroi ma atleti”, è uno dei messaggi che i nostri campioni paralimpici stanno lanciando in questi Giochi speciali, storici, ch’entrano nelle case degli italiani grazie alle dirette di RAI 2 e si prendono così tante pagine dei giornali sportivi e generalisti come non s’era mai visto. E allora può festeggiare su quel podio come nei giorni più belli, Bebe, anche con una medaglia al collo diversa dall’oro. In fondo basta la finale per il bronzo, con lei, in un Grand Palais gremito, per esser certi che quest’è l’ombelico del mondo…

L’argento di Matteo, sogno e obiettivo sono una cosa soltanto

Sottile, impercettibile, per molti invalicabile. C’è una linea di confine a dividere un sogno da un obiettivo. Ed esser campioni è il tratto distintivo di chi riesce a saltarla.
Ché il sogno d’una medaglia ai Giochi Paralimpici è desiderio meraviglioso. E però l’obiettivo di conquistarla è il metter mano praticamente alla questione. Matteo da Siena, classe 1985, trent’anni di gare di scherma alle spalle e molte più medaglie d’ogni colore e livello in bacheca, cominciando da quella del “finalista” al primo GPG di Roma ’94 e arrivando al bronzo mondiale d’un annetto fa a Terni, è uno che quella linea di confine l’ha superata spesso, senza mai stancarsi di riprovarci. Per rincorrere sempre un altro sogno. Dandosi ogni volta un nuovo obiettivo.
La Parigi di Matteo comincia una sera di tre anni fa a Tokyo. Un quarto posto che non gli è mai andato giù. Impossibile dimenticarlo, neppure in tempi, questi, freschi-freschi, in cui dopo la recente Olimpiade pure nell’immaginario collettivo l’arrivare ai piedi del podio è stato rivisitato, rivalutato, visto da un’altra prospettiva. Matte aveva la sua. E così il giorno dopo aver salutato il Giappone, già al nastro dei bagagli dell’aeroporto, s’era messo in testa di (ri)prendersi un’altra medaglia ai Giochi, dopo il bronzo di Londra 2012. Allora nella spada. Adesso però nel fioretto.
È l’arma su cui ha scelto di puntar tutto, facendo della tratta Siena-Pisa la sua strada che parte dal sogno e arriva all’obiettivo. A Simone, il suo CT, dice di dover moltissimo della crescita schermistica e mentale che sente d’aver compiuto. Ché la stoccata si mette di punta, ma pure di testa. E perché la lezione d’un “veterano”, aggettivo che gli viene accostato spesso, sta proprio nella consapevolezza che c’è da migliore sempre, con la professionalità d’un perfezionista. Nella cavalcata del Grand Palais, allora, fino a un argento che brilla, c’è tutto il percorso del “Matte” atleta, componente d’una squadra che sente sua e a cui chiede subito un’altra medaglia, e pure marito e papà.
Moglie e bimbo hanno tifato per lui in tribuna dall’alba al tramonto d’una giornata speciale. E nella loro esultanza Matteo avrà rivisto pure quei giorni, mica pochi, “sacrificati” alla sua famiglia. Sull’altare d’un sogno, certo. Ma soprattutto alla ricerca d’un obiettivo. Ne è valsa la pena, ora che finalmente si fa tutt’un conto. Perché sì, stanotte a Parigi, per Matteo, quel sogno e quell’obiettivo son diventati una cosa soltanto…

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